venerdì 29 gennaio 2010

Anche i boa strangolano

Ieri sera ho masterizzato un disco mp3 [è così che dicono i ragazzi?] da ascoltare in macchina e sono andato da Blockbuster.
Già dal parcheggio sembrava ci fosse più gente di quanta mi sarei aspettato di trovare alle sei di un giovedì qualunque. Appena sono entrato ho riconosciuto uno, alla cassa, un mio compagno di classe del liceo. Nonostante fosse di spalle e non lo avessi più visto [di spalle o di fronte] da almeno un paio d'anni, non ho avuto il minimo dubbio che fosse lui. Stesso cappotto, stesso taglio di capelli dei tempi della scuola: era lui, e io di corsa sono andato a nascondermi tra gli scaffali, sperando che non si fosse accorto di me. A dir la verità ne ero sicuro, e il fatto che fosse alla cassa mi tranquillizzava perché voleva dire che se ne astava andando. Mi sono già ritrovato in situazioni simili: so cosa fare.
Ovviamente le copie di Up erano tutte già prese. Ho ripiegato sull'ultimo Tarantino, ché tanto volevo rivederlo in versione originale.
Quando è arrivato il mio turno alla cassa, mentre cercavo la tessera nel portafogli, ho avvertito la presenza di qualcuno dietro di me. Imprudentemente mi sono voltato e l'ho guardato, lui, l'ho guardato bene. In quella frazione di secondo aveva la testa girata dall'altra parte così non mi ha visto. Era come in quel film coreano col tizio che in carcere impara a diventare invisibile - se non mi ricordo male. Era difficile che non mi riconoscesse: stesso cappotto anch'io. La barba e gli occhiali non credevo che sarebbero bastati a nascondermi.
La cassiera ci ha messo una vita. Mi ha dato il resto. Mi ha dato lo scontrino. Era lentissima. Ha detto: "Va riconnsegnato entro sabato mattina". Io ho detto: "Grazie, ciao", e sono uscito. Mentre la porta si chiudeva ho sentito lui che diceva: "Prendo questo". Ho sentito la sua voce.
In macchina ho alzato il volume per l'unica canzone di tutto il disco che volevo veramente ascoltare. Si chiama Silver Soul, è dei Beach House. Secondo me è perfetta. [All'inizio volevo scrivere solo della canzone, invece sto scrivendo un po' di me. Non so che dire].
Il vocabolario dice che la perfezione è "il grado qualitativo più elevato, tale da escludere qualsiasi difetto e spesso identificabile con l'assolutezza o la massima compiutezza." Viene dal latino perfectionem, derivato da perfectum, "compiuto" [participio passato di perficere, composto di per, "fino in fondo", e facere, "fare"]. Il contrario di perfezione è imperfezione.
Ieri sera ho pensato che il contrario di perfezione è anche quando tutto è assoluto, tutto è compiuto, senza ostacoli, solo che è vuoto. Quando tutto quello che fai, che fai sempre, tutti i giorni, serve a una cosa che non sai cos'è, ma se ci pensi scopri che è sbagliata. Quando fai fino in fondo e il fondo è un buco nero.

Ho sentito qualcuno dire che uno dei modi più "umani" di uccidere un uomo è lo strangolamento, per via dei pollici opponibili. Però anche i boa strangolano, e dato che loro non hanno pollici, né mani, né niente, c'è da dubitare che siano gli unici altri animali oltre l'uomo capaci di farlo. Forse solo i pesci è davvero impossibile che ci riescano.
Quando si dice "animali" non mi vengono mai in mente, i pesci.

"Tutti sono monache". ("Tout le monde est une nonne")

In genere quando sento dal tg che è morto qualcuno di più di ottant'anni dico "Be', era pure ora". Ieri sera non l'ho detto perché quel qualcuno era Salinger. [La cosa divertente è che mentre leggevo Il giovane Holden - anni fa, ormai - credevo che l'autore fosse già morto da un pezzo].

Stamattina ho anche comprato i due maggiori quotidiani nazionali. In prima pagina avevano la stessa foto; dentro, lo stesso florilegio di banalità. Più un simpatico gioco che si chiama "Scopri cosa Jonathan Safran Foer pensa di Salinger": secondo il Corriere ha avuto su di lui una "enorme influenza sia dal punto di vista letterario, sia umano", secondo la Repubblica non l'ha mai amato. Più Alessandro Piperno che sul Corriere fa un po' di confusione tra smettere di scrivere e smettere di pubblicare - il che la dice lunga su un sacco di cose.

Comunque, ripensando a Salinger mi è venuto in mente Calvino, e queste parole che magari non c'entrano niente, però, insomma.

 Palomar pensando alla propria morte pensa già a quella degli ultimi sopravvissuti della specie umana o dei suoi derivati o eredi: sul globo terrestre devastato e deserto sbarcano gli esploratori d'un altro pianeta, decifrano le tracce registrate nei geroglifici delle piramidi e nelle schede perforate dei calcolatori elettronici; la memoria del genere umano rinasce dalle sue ceneri e si dissemina per le zone abitate dell'universo. E così di rinvio in rinvio si arriva al momento in cui sarà il tempo a logorarsi e a estinguersi in un cielo vuoto, quando l'ultimo supporto materiale della memoria del vivere si sarà degradato in una vampa di calore, o avrà cristallizzato i suoi atomi nel gelo d'un ordine immobile.
"Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante, - pensa Palomar, - e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più la fine". Decide che si metterà a descrivere ogni istante della sua vita, e finché non li avrà descritti tutti non penserà più d'essere morto. In quel momento muore.

mercoledì 27 gennaio 2010

Ogni schermo è illuminato

Avete mai provato a contare quanti film ogni anno escono sull'argomento II Guerra Mondiale-Shoah-Memoria? Be', sono ancora parecchi - ancora nel senso che la letteratura, per dire, ha già smesso da un pezzo. Avete mai provato a contare quanti di questi film meritassero davvero di farsi vedere? Be', sono molto pochi.
Decidete quali delle seguenti prossime uscite potranno essere annoverate tra questi.


Il Colpo del Campo
di Wes Anderson

Lo stile inconfondibile del regista di Rushmore e i Tenenbaum al servizio di una storia ispirata a un fatto realmente accaduto. Bill Murray, Owen Wilson e Jason Schwartzman sono i tre autori del furto dell'insegna che con la scritta "Arbeit macht frei" campeggia all'ingresso del campo di concentramento di Auschwitz. I tre maldestri ladri, però, litigano costantemente tra loro, finché il personaggio interpretato da Schwartzman non cade da un sedia e per il colpo dimentica dove ha nascosto l'insegna. Dall'altra parte, a cordinare le ricerche vengono chiamati due investigatori impersonati da Anjelica Huston e Seymour Cassel, una volta marito moglie, ora divorziati. A complicare ulteriormente le cose arriva Natalie Portman nel ruolo di enigmatica donna del mistero, forse un fantasma, che perseguita i tre ladri, costringendoli ad affrontare le implicazioni morali del loro gesto.
Anche per quest'opera andersoniana ruolo fondamentale ha la colonna sonora, un sapiente mix di rock (Velvet Underground, Kinks, Rolling Stones) e musica klezmer.


Soluzione Finale
di Roland Emmerich

Il film, prodotto da J.J. Abrams e scritto da Drew Goddard (entrambi già firme di Cloverfield), è una assoluta novità nella filmografia del regista, non solo per il tema trattato ma anche per la scelta stilistica. Il maestro tedesco del catastrofismo, con un uso sorprendente della soggettiva, ci mostra la vicenda di due ebrei, interpetati da John Cusack e Sandra Bullock, durante la tristemente nota Notte dei Cristalli. Nessuna gigantesca esplosione, dunque, nè tornado o portali aperti sullo spazio-tempo; solo la fuga di due esseri umani terrorizzati da qualcosa di terribile che non riescono nemmeno a identificare - la furia cieca del mostro della violenza - che anche lo spettatore non vede se non nelle ultime scene del film.
Costato centosessanta miliardi di dollari (nonostante sia per lo più fatto di primissimi piani dei protagonisti e di nero perché è notte), Soluzione Finale rappresenta una grande scommessa per Emmerich e per Abrams. Quest'ultimo, reduce dai successi di LOST e Fringe, ha addirittura dichiarato che da questa esperienza potrebbe nascere una serie per la tv ambientata in un campo di concentramento in cui al gruppo di internati protagonisti succedono le cose più assurde. Probabile titolo: 174517.


Lunghi Coltelli
di Ferzan Ozpetek

Il regista turco-italiano, dopo La finestra di fronte, torna a parlare di omosessualità sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale. La rovente storia d'amore tra l'avvenente ebreo Magnus (Luca Argentero) e il soldato tedesco Ernst (David Kross), abilmente tenuta segreta dai due, sembra finire con la Notte dei Lunghi Coltelli. Ernst infatti sparisce, Magnus teme che sia stato anche lui vittima delle epurazioni e si mette sulle sue tracce, scoprendo che il soldato non era solo il suo amante, ma anche quello di molti tra i vertici delle SA. Nell'incessante ricerca della verità incontra Hans Blüher (Stefano Accorsi), scrittore noto già durante la Grande Guerra come teorico della "alleanza virile", nonché fervente antisemita e anch'egli vicino agli ambienti della Sturmabteilungen. Questi rivela all'ebreo che il soldato è vivo e li raggiungerà al più presto, ma nel frattempo il fascino di Magnus costringe Blüher a rivedere le sue posizioni. All'arrivo di Ernst, Magnus si ritroverà davanti a una durissima scelta da compiere: restare con lo scrittore o seguire il soldato in una località imprecisata della Polonia.
Il film, che già suscita polemiche, è anche un omaggio al cinema di Visconti e Fassbinder, oltre che all'anatomia maschile. Notevoli, in questo senso, le interpetazioni dei tre protagonisti: accanto a conferme ozpetekiane come Argentero e Accorsi, spicca David Kross, che aveva mostrato un bel pezzo di bravura nel film The Reader.


Annina
di Federico Moccia

Il regista figlio d'arte (figlio di Pipolo) e autore di best-seller Federico Moccia mette da parte le avventure erotiche con laidi quarantenni delle ragazzette di Roma Nord per raccontare una love story del passato riletta con gli occhi dei giovani d'oggi.
Protagonista è Annina, una ragazza come ce ne sono tante a Monte Mario, che per un compito di scuola deve leggere Il diario di Anna Frank. Dopo un primo approccio non facile (divertentissima la scena in cui Annina chiude il libro ed esclama esausta: "Ma nun la potevano trovà prima?"), la sedicenne si lascerà sempre più prendere dal racconto, complice anche l'aspirazione che la accomuna all'ebrea: il sogno di diventare scrittrice (e qui il regista e scrittore si abbandona all'autocitazione: Annina infatti, dichiarando di voler seguire le sue orme, dice: "Quer frocio me fa morì"). Annina si appassiona così tanto alla lettura del diario che addormentandosi sogna di essere lei stessa Anna Frank. La vediamo allora nell'achterhuis dell'edificio sul Canale Prinsengracht, vestita da reclusa, vivere la vita di cui da sveglia poteva solo leggere. L'attenzione si focalizza in particolare sulla tenera storia d'amore con Peter van Pels, il timido e introverso giovane coinquilino, e sulla rivalità con la sorella Margot, che Annina/Anna sospetta voglia rubarle il ragazzo.
Nel cast Alessandra Mastronardi (Annina/Anna), Raoul Bova (Otto Frank), Federico Costantini (Peter), Lunetta Savino (la madre).

lunedì 25 gennaio 2010

Cioranerie

È una vita che pensiamo al suicidio. Ci siamo sempre chiesti se poi, un attimo prima di premere il grilletto, di stringere la corda attorno al collo, di gettarci dal settimo piano, di infilare la testa nel sacchetto di plastica, di ingoiare le pillole, di buttarci sotto il treno, prima di morire, insomma, in uno dei modi in cui abbiamo scelto di farlo, avremmo avuto il minimo dubbio.

Siamo del tutto certi che il tizio seduto accanto a noi, in treno, sia un pedofilo, perché è accompagnato da un bambino che a un tratto gli chiede dove abiti.
Iniziare un racconto così: “Si faceva un gran parlare di pedofilia, così ho deciso di provare”.
Iniziare una terapia.

Molti dei Grandi Cattivi della Storia, se non tutti, probabilmente da bambini hanno avuto dei cugini più piccoli con cui esercitarsi.

C’è qualcosa di peggio del sentirsi dire che si è esattamente come si appare?

«People take pictures of each other just to prove that they really existed». I Kinks o Platone?

Desiderium, ii, n. – in latino è sia “desiderio” che “rimpianto”, quindi “oggetto del desiderio o di rimpianto” e “persona amata”.

giovedì 21 gennaio 2010

Foyer du cinéma #1

Cinema Barberini
Piazza Barberini, 24-25-26
00100 - Roma

19/01/10 19:15
Avatar 3D

Andiamo di corsa ché è tardi. Le scale mobili le facciamo volando. Come sempre in questi casi, il treno non passa e cammino nervosamente in circolo sulla banchina. - La metro B è bloccata da stamattina -, dico a mia sorella. Lei guarda l'orologio. Sono già le sette. Stiamo andando al Barberini a vedere Avatar in 3D.
- Per fortuna l'uscita della metro è proprio davanti al cinema -, dico. Nonostante questo, quando apriamo le porte a vetri del multisala sono ormai le sette e un quarto. C'è la fila. E' aperta solo una cassa. In fila ci stanno una suora e un prete. Sono giovani, sembrano sudamericani. Penso che forse non ho mai visto un prete e una suora fare la fila al cinema.
Sentiamo la cassiera dire che per Avatar ci son rimasti solo posti laterali. Mi sento un idiota. All'improvviso, come se qualcuno mi avesse rovesciato qualcosa addosso, mi sembra che stare lì a fare la fila dietro a quel prete e a quella suora sia del tutto inutile. Mi sembra che il film non abbia alcun bisogno di me per essere visto. Dico a mia sorella di uscire. Le mi dice - Va bene -.
Guardiamo gli orari delle proiezioni sul foglio appesso fuori la porta.
- Lo fanno all'una, in 3D e in versione originale. Se domani mattina non hai lezione potremmo andarci -. - Domani c'è lo sciopero della metropolitana -, dice.
- Ma magari ci stanno le fasce garantite. All'una e coi sottotitoli, non dovrebbe esserci gente -.
- Non lo so. Adesso che si fa?-.
- C'è un altro cinema, più su. Possiamo andare a vedere che fanno -.

****

Cinema Fiamma
Via Bissolati, 47
00100 - Roma

19/01/10 20:00 Sala 1
La prima cosa bella

Prezzo: 7,50 euro

Io e mia sorella viviamo insieme da quando è nata (io sono più grande), eppure adesso che camminiamo per via Barberini stiamo in silenzio e io la precedo come due che non vanno nemmeno dalla stessa parte. Non è che non le voglia bene, né che lei ce l'abbia con me per qualche motivo. In realtà, non lo so.
Aspettiamo che il semaforo diventi verde e attraversiamo la strada. Al Fiamma alle otto c'è La prima cosa bella. Manca ancora mezz'ora. Le dico che potremmo cercare un bar per prendere qualcosa. Ho fame, non ho pranzato. Lei dice - Va bene -.
Via Bissolati è una sfilza di banche. Al primo incrocio decidiamo di tornare indietro. Le chiedo dell'università, degli esami. Lei mi racconta delle aste su eBay per accaparrarsi un cellulare. Alle otto meno un quarto entriamo per fare i biglietti.
- Qui all'intervallo c'è un tizio in uniforme che entra in sala a vendere roba da mangiare -, dico.
Mentre cerco i soldi nel portafogli la porta del cinema si apre e entrano Raul Bova e la moglie. Non so perché faccio finta di non accorgermene. Mi faccio da parte mentre la cassiera baldanzosa dice - Ditemi! -. Lui prende due biglietti per il nostro stesso film e esce. Mia sorella mi sfiora una mano e sussurra - L'hai visto? -. Io dico di no.
Entriamo in sala e ci sediamo. Poco dopo Raul Bova e consorte si siedono nella fila davanti alla nostra. Mia sorella me lo indica.
Accanto a me c'è un signore sovrappeso che sembra che russi ma è sveglio.
Quando il film finisce e usciamo in strada, per non far vedere che ho pianto dico - Pediniamo Raul Bova -.

mercoledì 20 gennaio 2010

Generatore di Post Ironistico-Sentimentali "Pulsatilla 9000" | Test 0.1

C'è un momento magico nella vita di ogni studentessa universitaria che si chiama: Attesa Prima di un Esame.
Cioè, forse non è così proprio per tutte. Magari voi siete di quelle che smettono di lavarsi i capelli due mesi prima dell'appello, o impongono a sé e al proprio ragazzo l'astinenza per poi darla al primo che capita giusto la sera prima, così, "per scaricare la tensione". Comunque, tu, unica, che non sei tra queste, sai a cosa mi riferisco.
Parlo di quella intesa che si crea tra te e un ragazzo che non avevi mai visto prima, oppure che avevi visto ma avevi preferito dimenticare, mentre insieme aspettate di essere chiamati dall'assistente del professore che di sicuro storpierà il tuo cognome.
Chiaramente, affinché questo avvenga, devi essere sicura di non incontrare nessuno che già conosci, in particolare quella mezza matta che al corso si sedeva sempre vicino a te per parlare dei suoi problemi con le coinquiline e poi chiederti una fotocopia dei tuoi appunti. Devi anche stare attenta a non attirare l'attenzione di una delle studentesse che si identificano nelle tipologie prima accennate. Se sarai brava, forse l'unico studente interessante presente si siederà sul pavimento lurido del corridoio del dipartimento di italianistica accanto alla panchina dove sei seduta tu.
Dico forse perché se sei iscritta a una facoltà come Lettere sai meglio di me quanto sia difficile trovare ragazzi che non siano gay, freak, o buzzurri del basso Lazio che frequentano la Città Universitaria solo per le canne e le studentesse di Scienze della Cominicazione. Magari sei scettica, starai dicendo "Sì, i soliti stereotipi". Be', non vorrei deluderti, ma, ecco, è esattamente così.
Tornando a noi, diciamo, per ipotesi, che del tutto ipoteticamente un ragazzo che potrebbe fare al caso tuo ti si avvicini.
Tu sei lì che fai finta di ripassare e lui ti chiede: "Sei qui per l'appello di ***?". Rispondi di sì.
A questo punto, le possibilità sono tre:
1) vuole solo sapere se si trova nell'edificio giusto;
2) vuole scambiare quattro chiacchiere con l'unica ragazza che potrebbe fare al caso suo (cioè che non sembra lesbica, troppo zoccola, troppo timorata di Dio o troppo timorata del trenta e lode);
3) vuole che qualcuno gli ripeta quello che lui non ha studiato bene.
Se ti trovi di fronte a un 2 (e anche se ci fosse un pizzico di 3 non sarebbe poi la fine del mondo) ce l'hai fatta.
[Certo, su tutto il procedimento va apposto il bollino "e viceversa": puoi benissimo essere tu a fare la prima mossa. Tutto dipende da chi arriva prima.]
Per farlo sentire a suo agio gli dici che non sai niente, che più ripassi più ti sembra di non ricordarti nulla. "Le date, poi... se me le chiede è la fine".
Come previsto, lui ripete esattamente le stesse cose. Certo, non sai ancora se è serio o se, come te, è cosciente del fatto che alla fine prenderà un voto comunque superiore al ventotto. Decidi che è meglio approfondire. Spari date e nomi a caso.
"Qual era il romanzo uscito nei Gettoni?".
"Oddio, non mi ricordo dov'era stato prima di laurearsi in Lettere".
"I capitoli erano dodici o quindici?".
Se le risposte sono per lo più giuste, questo ragazzo ha tutto.
Dalla materia passate a parlare dei vostri assurdi metodi di studio. Lui ti dice che alla fine si ricorda solo le cose più stupide. Gli basta leggerle una volta, senza sottolinerarle e niente, e se le ricorda per sempre. "Tipo, mi ricordo che l'aspirapolvere è stata inventata nel 1908". Tu sorridi, anche se sai che non c'è motivo per farlo. Continuate a ricoprirvi di ridicolo e a ridere dove non serve finché non tocca a lui. Gli dici "In bocca al lupo". Lui non ti risponde. Ti viene in mente come per la prima volta da settimane che oggi hai un esame.
Quando entri nell'aula in cui il professore interroga trovi lui che verbalizza il suo voto con l'assistente. Vi guardate. A gesti gli chiedi com'è andata. Lui sorride. Se quando uscirai da quell'aula lo troverai ad aspettarti, be', ecco, ci siamo capite.
Il professore ti regala un trenta. L'assistente sbaglia a scrivere luogo e data di nascita sul verbale, corregge e ti fa firmare. Prendi il foglio, saluti e esci.
Lui è ancora lì.
"Com'è andata?".
"Bene. Trenta. Tu?".
"Trenta e lode".
Ok, forse ha esagerato, ma non ti importa. Una ragazza ti assale. "Allora? Te l'ha chieste le fasi? Che t'ha chiesto? Te l'ha chieste le fasi?". Lui dice "Andiamo?". Lo segui. Ovviamente non sai dove state andando.
Ti porta in giro per dipartimenti dei quali tu non potevi nemmeno immaginare l'esistenza. Parlate, ridete. Ricordati solo di mantenere un certo contegno.
Incontrate una persona che conoscete tutt'e due. La salutate. Quando ve ne separate lui dice "*** mi mette sempre una certa ansia", che è esattamente la cosa che tu pensi di ***.
Uscite dalla facoltà. Dici: "Comunque non ci siamo nemmeno presentati".
"Infatti".
"Io sono [inserisci il tuo nome]".
"Piacere, ***".
"Va be', adesso devo andare, il mio ragazzo mi apetta qui fuori".

venerdì 15 gennaio 2010

You can do anything you want in life, unless Jay Leno wants to do it, too

Vorrei dare per scontato che sappiate cos'è il Tonight Show, ma dato che già il grado di interesse del post è vicino allo zero, in breve:
il Tonight Show è un talk show che va in onda negli USA, sulla NBC, intorno alle undici e mezza di sera, dal lunedì al venerdì. Dura un'ora. C'è un comico in giacca e cravatta che presenta. In genere il programma inizia con un monologo di un quarto d'ora - venti minuti, il comico in piedi. Poi si siede dietro a una scrivania e arrivano gli ospiti per le interviste. In genere gli ospiti sono due. La prima intervista dura di più perché il primo ospite è il più importante. Negli ultimi cinque minuti c'è un musical guest che si esibisce dal vivo. Fine.
Praticamente è quello che in Italia è noto come David Letterman Show.
Il Tonight Show esiste dal 1954. All'inizio lo faceva Steve Allen, poi è passato a un tizio che nessuno si ricorda, poi a Johnny Carson. Carson ha condotto il programma per trent'anni, dal '62 al '92. Praticamente, Johnny Carson sta a Tonight Show come Fabio Volo sta a paraletteratura. Dal '92 al 2009 è toccato a Jay Leno. Per ora è di Conan O'Brien.
Dico per ora perché il Tonight Show with Conan O'Brien sembra debba chiudere i battenti il ventidue gennaio prossimo, dopo poco più di sette mesi dall'inizio.
Il fatto è questo: com'era ovvio che accadesse, gli ascolti del nuovo Tonight Show non erano all'altezza di quelli del vecchio. Un po' per "fare da traino" [lo so, la odio anch'io quest'espresione], un po' perché a quanto pare lui non era così disposto ad andare in pensione come voleva far credere, Jay Leno è stato messo nella fascia oraria precedente al Tonight Show con un programma simile, il Jay Leno Show. Non ha funzionato. La NBC allora ha pensato a questo: mettiamo il Jay Leno Show alle undici e mezza e spostiamo il Tonight Show a mezzanotte. Semplice.
Così semplice che tutta la late-show line up della tv americana [tranne, ovviamente, Jay Leno] ha protestato. Per dirne una, qualche sera fa Jimmy Kimmel - che ha un programma sulla ABC tipo il Tonight Show - è andato in onda mascherato da Leno. Si è parlato di novità calpestata dalla logica dell'audience e di altre robe del genere. Io mi limito a dire che Jay Leno NON MI HA MAI FATTO RIDERE. Si è parlato anche del futuro di Conan O'Brien. Che di sicuro non morirà di fame [la NBC sarà costretta a pagare una penale per averlo cacciato in anticipo] e forse, armi e bagagli, si trasferirà su un altro network [si dice la FOX]. Proprio come fece David Letterman.
Già, perché la parte divertente della storia è che tutto questo è già successo.
Nel 1992, quando Johnny Carson lasciò il programma [lui lo fece sul serio] la lotta per la successione si fece così aspra che la HBO ne tirò fuori un tv movie drammatico. Successe che Carson e quelli che lavoravano con lui avevano proposto Letterman, che conduceva il Late Night with David Letterman, lo show che andava in onda subito dopo quello di Carson - identico nella forma. La NBC si oppose, rilanciando con Jay Leno, che non aveva già un programma tutto suo, ma era un ospite fisso sia da Carson che da Letterman. Quest'ultimo racconta che alla riunione per decidere a chi affidare il programma, Leno si nascose in un armadio per origliare [ma le storie che racconta Letterman son da prendere con le pinze]. Alla fine il Tonight Show se lo accaparrò Leno, Letterman abbandonò la NBC e sulla CBS diede vita al Late Show with David Letterman, il programma in concorrenza diretta col Tonight Show. Leno e Letterman non si sono rivolti la parola per anni. A sostituire Letterman al Late Night venne chiamato Conan O'Brien, che aveva già lavorato come autore al Saturday Night Live e soprattutto ai Simpson [in quasi tutti i migliori episodi che vi stanno venendo in mente adesso c'è il suo zampino]. Che dovesse essere lui a prendere il posto di Leno una volta che questi avesse lasciato il Tonight Show era stato lo stesso Leno a deciderlo - e con un sacco di tempo di anticipo -, proprio per evitare che si ripetesse la faida del '92.
Missione compiuta.

Per qualche motivo, queste faccende mi interessano - si è capito. Sarà che, stavolta, è così italiano il modo di affrontare il problema [ma le analogie con il nostro paese finiscono qui - è inutile dire che programmi televisivi come quelli di cui si è parlato sarebbero impensabili da noi (il fallimento dell’unico tentativo che si è fatto parla da solo)] così italiano da non fare notizia nemmeno su repubblica.it .
Sarà, poi, che son giorni che provo a scrivere qualcosa di decente sulla tv e non ci riesco.
Vorrei farlo perché credo che discuterne seriamente sia importante. Sì, proprio per quello, perché vi vedo che alzate gli occhi al cielo, che dite “la televisione? Nel 2010?”.
Lascio stare le cifre [tranne una: l’informazione politica su internet (blog, forum, gruppi di Facebook) influenza gli italiani per il 2,1%. L’equilavalente di un primo piano di sei secondi della nuca di Paolo Bonaiuti], ma, ecco, dovrebbe essere del tutto ovvio quanto una discussione sulle forme e sui contenuti (sì, i contenuti) della tv sia più utile delle due pagine sull’epistolario Gadda-Contini di oggi su Repubblica. E io amo Gadda, ma, insomma.
Sembra assurdo che le analisi più accurate a riguardo risalgano a quasi quattro decenni fa, quando scrivevano Calvino e Pasolini, ma è così. I lavori di Nove & Co. negli anni ’90 sono stati una meteora.
Mentre dall’altra parte dell’Oceano ci si interroga sulle possibilità di un format e insieme sul (non) futuro di un certo tipo di tv [il target di Conan O’Brien è lo stesso che sta smettendo di guardarlo per taggare gli amici su Facebook], qui il consumo di tv [della tv del pomeriggio di Raiuno per le signore che “non chiederlo a me, sono solo una ragazza!” e della sera di Canale5 che è meglio lasciar stare] invece di calare aumenta [ovviamente con percentuali diverse nelle varie fasce d’età].
Di sicuro è un effetto della Crisi.
Sicuro come Pippo Baudo.

lunedì 11 gennaio 2010

[Il racconto del mese #2]

Incredibile a dirsi, questa cosa del racconto del mese va avanti.
Per gennaio abbiamo un pezzo che si intitola Appunti per uno studio sulla ritenzione narrativa e che ha scritto Heike.
Heike è un blogger e il suo blog è bello. E' qui su Blogger. Si chiama Il blog ottuso. Fateci un salto.
Heike, dicevamo, dice di sé: "Grafomane compulsivo, si rimanda alla di lui cauta autobiografia in sedici tomi".
Questo pezzo [continuo a chiamarlo pezzo perché non si tratta di un racconto in senso stretto, più che altro è uno psichiatra e un maldestro giovane-autore-esordiente che fanno a botte] ha dentro: due tizi al ristorante, Cavallo Pazzo, Luca Barbareschi e un cane parlante simpaticissimo. Non necessariamente in quest'ordine.
Lo potete leggere qui sotto (sempre se ci riuscite) o qui.



Prossimamente

Febbraio -- Un racconto di Alessandro Milanese che parla di un cigno, drogati, suore e Maurizio Costanzo.
Marzo -- Ancora non lo sappiamo. Se avete qualche idea voi, scrivete a lacollanadellaregina@gmail.com.

venerdì 8 gennaio 2010

Pochi consigli per sopravvivere a una brutta storia

Fate conto di stare a un pranzo o a una cena come quelli cui avete preso parte durante queste feste. La casa non è la vostra, i commensali sono un misto di parenti, parenti acquisiti, parenti che non credevate di avere, amici dei parenti, amici di qualcun altro, un paio di persone la cui presenza è per voi del tutto inspiegabile. Fate conto che a un certo punto, tra l'ultima portata e il
dolce, uno di questi - mettiamo, un parente acquisito - se ne esca con una storia. Capite che sta per racccontare qualcosa perché si sporge sulla sedia, raddrizza la schiena e aspetta che ci sia un attimo di silenzio. La storia fate che sia quella del pestaggio di due rumeni ubriachi a opera di chi racconta e di due suoi colleghi; rumeni colpevoli, oltre che - a quanto pare - di ubriachezza molesta, di essersi avvicinati con fare minaccioso a due ragazze, senza tuttavia rappresentare una minaccia reale, essendo - sempre a detta di chi parla - "troppo ubriachi per fare qualsiasi cosa". Forse la parola pestaggio non è la più azzeccata, però. Chi parla descrive la scena come: due tizi presi a calci da noi tre. Ma qui viene il bello. Non esce fuori da un palazzo che si affaccia sulla via centralissima di Roma dove è avvenuto il fatto una mezza matta che si mette a strepitare minacciando i tre di denuncia? Vuole sapere i loro nomi. Dice di aver chiamato i vigili urbani. Che poi in effetti arrivano e domandano della rissa, riconoscono i tre colleghi - in quanto anch'essi membri delle forze dell'ordine - e sorridono, e si sentono rispondere "se li cercate, dovrebbero stare sdraiati là dietro".
Forse vi aspettavate una barzelletta.
Potrebbe anche darsi che la persona che ha appena parlato già non vi fosse tanto simpatica. Se siamo sulla stessa lunghezza d'onda, è probabile anche che non avevate nessuna stima per lui. Ora vi starete chiedendo qual è il livello sotto a questo nella scala della considerazione. Fate conto che sia quello in cui alle locuzioni educate si sostituiscono più sintetici insulti. Nonostante tutto, però, preferite ragionare (sarà anche solo per distinguervi). Decidete che, in fondo, quello che avete appena ascoltato è un racconto in cui le relazioni di causa ed effetto sono rigidamente mantenute. Il narratore è, come già accennato, un uomo delle forze dell'ordine, che adesso è impiegato come autista per un tizio che una volta ricopriva una carica istituzionale ma che adesso è un semplice pensionato - certo, non tanto semplice se può usufruire di un autista pagato dallo Stato. A dirla tutta, autista è riduttivo. Il nostro narratore è più un factotum: scarrozza in giro per l'Italia il pensionato e altri membri della sua famiglia, ritira pacchi, consegna pacchi, porta buste della spesa. All'occorrenza, tiene d'occhio i nipotini del capo. E' un lavoro che a voi potrà sembrare addirittura umiliante, ma che per il nostro è motivo di orgoglio, dato che gli permette di entrare in contatto col Mondo Che Conta, con la cosiddetta Roma Bene, con Quelli Che Decidono Le Cose Importanti. Direte che in questo mondo sì, ci entra, ma dalla porta di servizio, e per restare negli alloggi della servitù. Avete ragione, ma a lui sembra non importare affatto - sempre che se ne sia accorto. Se non se n'è accorto, tuttavia, in qualche modo - ne siete sicuri - ne deve avvertire il peso. Ed è ovvio che questo peso lo vada a scaricare su chi sta messo peggio di lui, su chi, in scala, con lui ha lo stesso rapporto che lo lega all'ambiente cui si illude di appartenere. C'è niente che dica Italia Berlusconiana meglio di questo? Fate conto di no.
Adesso che avete messo tutti i pezzi nell'ordine giusto dovreste sentirvi non dico sollevati, ma almeno rassicurati dalla distanza che avete posto tra voi e l'oggetto della vostra analisi. Eppure non siete in pace. Quello che ancora vi tormenta - ve lo dico io - è ilmodo. Il modo innocente e innocuo, il tono della voce tranquillo e a tratti giocoso di chi ha raccontato quella storia. Come se avesse detto di quando ha trascorso il Natale in montagna appena sposato, o dell'ultima marachella del più piccolo dei suoi figli. Come se stesse spiegando le regole di un gioco di carte. Certo, dovete anche mettere in conto il fatto che avete inventato una scusa per andarvene e ve la siete data a gambe. Ma, insomma, conta più quello.

lunedì 4 gennaio 2010

La prima interessantissima querelle letteraria dell'anno

Suscita scalpore il progetto lanciato dal blog della casa editrice romana Minimum Fax, minima&moralia: creare una Lega delle piccole e medie case editrici che popolano la penisola, la Pli'n'Plì (da Più libri. Più liberi, la fiera della piccola e media editoria che si tiene ogni anno proprio a Roma). Secondo gli ideatori dovrebbe essere "un'occasione unica di autocoscienza, la creazione di una rete di scambi di idee e manodopera a basso costo - magari di stagisti". Dopo solo un'ora dalla pubblicazione del post in cui si parla della Pli'n'Plì, sono quindicimila gli editori che si dimostrano interessati: una piccola parte, che lascia però ben sperare.
Quando le case editrici che aderiscono toccano quota quarantamila (un terzo del totale) e a Minimum Fax si preparano a brindare, sorgono le prime complicazioni. Un anonimo traduttore di manuali di self-help denuncia che, sottoscrivendo il patto-Minimum (o, come viene presto ribattezzato, il MinCulPax), tutte le traduzioni dall'inglese e "da altre lingue da concordare con gli editori stranieri" sarebbero state affidate a Martina Testa. Da Ponte Milvio non arrivano smentite: in effetti, la clausola-Testa si ritrova in una minuscola nota a piè di pagina nel PDF dello statuto della Lega Pli'n'Plì scaricabile dal loro sito, nota leggibile solo quando Adobe Reader non fa le bizze. Con la scoperta di altre note simili a questa, non tardano ad arrivare altre polemiche.
Gianni Biondillo su Nazione Indiana scrive: "VOGLIO NOMI E COGNOMI! Voglio prove, documenti, fatti, non sottintesi, ammiccamenti, strizzatine d’occhio". Gilda Policastro, sullo stesso blog, ribatte: "Nomina sunt consequentia rerum". Dalle pagine del Primo Amore, Carla Benedetti commenta: "È una mania tutta italiana quella di fabbricarsi dei piccoli teoremi storico-epocali per magnificare ciò che si fa". Per Wu Ming I si tratta di: "Gente ancora convinta di trovarsi all’epicentro dei processi di legittimazione culturale, quando invece è ai margini estremi di una periferia dei discorsi e - soprattutto - delle pratiche. Tutto avviene già altrove". Vibrante la denuncia di Loredana Lipperini: "Un tantino desolante".
Mettendo insieme i pezzi viene fuori che il vero progetto di Minimum Fax è quello di asservire l'intero complesso della piccola e media editoria, allo scopo di pubblicare libri i cui titoli, letti uno di seguito all'altro, formino l'opera omnia di Raymond Carver. Per esempio, la casa editrice Nutrimenti sarebbe stata costretta a pubblicare un volume sulla politica italiana degli ultimi vent'anni dal titolo C'era questo cieco; Un amico di mia moglie sarebbe stato, per contratto, un libro di Giulio Perrone; per la collana "Haiku" di Empiria sarebbe uscito Che doveva arrivare per passare; La notte da noi sarebbe stato un romanzo ambientato nel mondo delle gang-bang edito da Las Vegas Edizioni.
Tocca a Luca Briasco risolvere la questione. Ospite di Fabio Fazio, l'editor Einaudi propone di sacrificare una ciocca della sua folta capigliatura pur di vedere ristabilito l'ordine tra i Piccoli Editori e i Medi Editori (nel frattempo scissi in queste due fazioni - i primi invocando la bancarotta per Minimum Fax, i secondi puntando alla bancarotta fraudolenta). Si arriva ad un accordo: portavoce delle case editrici (solo uno ciascuna, altrimenti non c'è spazio) si riuniscono allo Stadio Olimpico di Roma. Al centro del campo, un paio di forbici posate su un'ara e Luca Briasco con una mantellina rosa da coiffeur. Le lame, ora brandite dalla parrucchiera Cinzia, scintillano ai flash dei reporter di Nuovi Argomenti e TuttoLibri, quando un dirigibile targato ilmiolibro.it oscura il cielo sopra lo stadio gremito. Dal dirigibile iniziano a cadere degli oggetti. Sembrano fogli di carta, da lontano - ma no, sembrano libri, agende, lettori dvd, iPhone.
Sbagliato: sono e-book reader.