mercoledì 24 febbraio 2010

Cioranerie 2

[Insipienza universitaria/universale/universalistica].

Laurearsi, oggidì, è una corsa a ostacoli - dove gli ostacoli sono: gli esami, le lezioni, l'istituzione universitaria in generale.

I laureandi parlano come quelli che hanno da poco perso un loro caro. "Devo trovare un modo per andare avanti"; "Mi sembra tutto inutile"; "L'importante è pensare a quello che viene dopo".

"Ti puoi fidare" nei manifesti elettorali di Emma Bonino. Il peggior slogan che si poteva scegliere. Se mi posso fidare posso anche non farlo - forse, anzi, dovrei.
Senza contare che è la frase che nei film pronuncia l'antagonista cercando di convincere il protagonista a tendergli la mano per non sprofondare nel burrone.
[Mi è servito a questo l'ultimo esame].

Gleeörgy Lukács - La cosa davvero sorprendente, in Glee, è l'uso degli stereotipi. I personaggi sono costruiti senza il minimo sforzo in direzione della tipicità. Sono mere funzioni narrative, tanto che a qualcuno non si sono nemmeno preoccupati di dare un nome. Flat characters anche quando sono al centro dell'intreccio.
[A questo mi son serviti tanti altri esami].

La cosa peggiore che potrebbe capitarmi adesso è qualcuno che si vanti di me.

You can write books about anything

[Trovato qui]

venerdì 19 febbraio 2010

Read the news, today (Oh boy)


Se lo scorso otto dicembre eravate per le strade di San Francisco a inseguire qualcuno, a fare gli hippies o a fare gli omosessuali, potevate comprare una copia del San Francisco Panorama per cinque dollari. Io, l'otto dicembre, ero a Via della Conciliazione, a Roma, a comprare un presepe per mia madre, così ho dovuto aspettare che andasse in ristampa [la prima tiratura è finita in un attimo], che venisse messo in vendita on-line [a gennaio] a sedici dollari e fosse possibile comprarlo da ibs.it [per tredici euro e mezzo]. Mi è arrivato ieri.

martedì 16 febbraio 2010

Mi fai una domanda su Avatar?

Un'intervista a Enrico Piscitelli, enpi, e-. Quello di MilanoRomaTrani, quello che ha pubblicato racconti un po' ovunque sul web e sui fogli di carta, quello che ha curato un'antologia memorabile, quello che cura la collana di "narrativa densa" novevolt insieme a Alessandro Raveggi.
Enrico Piscitelli.
Se volete vedere due maschi bianchi italiani tra i ventuno e i cinquatacinque anni che parlano di e-book, responsabilità, i Puffi, il Mondo, Guy Debord, Linus, umiltà, necessità, assenza di epos e un sacco di altre cose e non si capisce mai bene quello che dicono, be', non so che dirvi.
Solo, cliccate Ulteriori informazioni.


sabato 13 febbraio 2010

And, in the end, the love you take is equal to the love you make

Qualche suggerimento per i biglietti di San Valentino.

 

lunedì 8 febbraio 2010

[Il racconto del mese #3]

Alessandro Milanese ha pubblicato un po' di racconti in giro per l'internet [li trovate googlando "alessandro milanese racconto" - fatelo, ché sono belli] e cura una rubrica di musica su inutile, quello che fa cultura.
A noi ha mandato il racconto qui sotto, che si intitola Onebyone, tutto attaccato.
Seguono alcuni "commenti da copertina" di gente che l'ha già letto:

"Ci sono affezionato, soprattutto alla storia." [Alessandro Milanese]

"Bellissimo." [mt]

"E' come un pezzo dei Radiohead al rallentatore." [lia]

"Un racconto che ti fa venire voglia di adottarlo." [ludmilla]

"This is fucking good, man." [J.D. Salinger, sul letto di morte]

Il racconto lo potete leggere anche qui.



Fai anche tu come Alessandro Milanese! Manda il tuo racconto a lacollanadellaregina@gmail.com! Puoi anche pagarci, se ti fa sentire a tuo agio!

giovedì 4 febbraio 2010

Guida per proteggere i tuoi santi

Ieri sera mi ha chiamato mia sorella [undici anni a marzo] e mi ha detto: "Hai visto Morgan?".
Mia sorella conosce Morgan perché guarda X-Factor. Per lei è uno della tv come quelli che leggono il telegiornale e Milly Carlucci. Forse l'ha visto una o due volte cantare, ma questo certo non basta a fare di lui un musicista, ai suoi occhi.
Stiamo seriamente parlando di Morgan?
Sì.
Primo, perché, da mia sorella decenne al Ministro della Difesa della Repubblica Italiana, tutti se ne sono occupati.
Secondo, perché l'affaire Morgan ci permette di fare luce su un momento molto delicato nella vita di ognuno, ovvero quando dobbiamo o ci sentiamo in dovere di difendere i nostri idoli.
Può succedere che si stimi qualcuno fino al parrossismo. L'oggetto di questa stima parossistica [adoro questo aggettivo] viene comunemente definito mito, o idolo. Dunque, può succedere anche che questo mito o idolo si cacci in qualche guaio. E non c'è bisogno che il mito/idolo sia in vita per farlo. Avete presente Pio XII? Bene.
Il caso di Morgan, a questo punto, ci è utile per la sua tipicità: il musicista rock/alternativo che dichiara di fare uso di sostanze stupefacenti. Un classico.
Ora, la sua posizione risulta leggermente aggravata dal fatto che negli ultimi anni Morgan è diventato un "personaggio televisivo", come si accennava all'inizio. Ma quello su cui ci concentreremo adesso è il modo in cui possiamo giustificarlo, o meglio, il modo in cui i suoi fan - le compiacenti bignardette (cit.) - possano farlo senza rendersi ridicoli.

Il modo sbagliato

Una delle strade più battute è stata quella della denuncia dell'ipocrisia. Morgan, nuovo Prometeo infiltratosi nel mondo degli Dei del Potere Televisivo, ha donato a noi tutti il fuoco della Verità, dell'Onestà, e senza ipocrisia si è rivelato per quello che è: un drogato.
Senza dubbio, nel sistema di valori delle società occidentali post-industriali, la sincerità è un valore positivo, ma in tal caso genera un paio di conseguenze poco piacevoli: 1) dire che Morgan è l'unico così sincero da ammetere di fare uso di droga implica che tutti gli altri invece lo facciano senza avere il coraggio di ammetterlo: sono due calunnie al prezzo di una; 2) basta confessare un crimine a renderlo meno grave? Se rubate una macchina e poi lo andate a dire ai Carabinieri, lo sconto della pena è per il favore che gli fate, non perché avete toccato il cuore del maresciallo.
Un'altra delle scuse più gettonate - nonché la più ovvia - è stata: Morgan è un musicista, un artista. Dovremmo smettere di ascoltare i Beatles perché si facevano le canne?
Per scrupolo di coscienza devo dire che Morgan come cantautore non mi è mai piaciuto. Mai. Ma questo non è importante. E' invece importane come questa strategia difensiva resusciti la figura dell'Autore, che credevamo morto da almeno quarant'anni.
Se infatti non si può giudicare [giudicare, che brutta parola. Di sicuro qualcuno sarà saltato sulla sedia leggendo giudicare. Noi non giudichiamo. E' questo che ci insegnano la religione e i programmi della De Filippi: non giudicare] se non si giudica, dicevo, un artista per il suo comportamento come uomo, allora non possiamo distinguerlo dalla sua opera, e l'opera acquista valore in relazione all'artista e non indipendentemente da esso. In altre parole, se ascoltiamo Transformer non dobbiamo ignorare che Lou Reed non riusciva neppure a stare seduto da solo mentre lo registrava, e che da Lou Reed, dal lui e basta, deriva la bellezza di Perfect Day, Walk on the Wild Side e Satellite of Love [come dalla gobba deriva il pessimismo cosmico].
Se così fosse, non potremmo trovare divertenti le commedie di Oscar Wilde se questi non fosse stato la checca pazzerella che tutti conosciamo, e, se John Lennon avesse fatto il bravo, invece di Lucy in the Sky with Diamonds ascolteremmo Sandy Eats Raw Tartar.
Sul rapporto droga-artista [un'idea tanto radicata quanto quella per cui i giovani, vittime di omicidio, erano simpatici allegroni pieni di amici e con un ardente entusiasmo per la vita (cit.)], rimando al saggio The Poet di Ralph Waldo Emerson.
Sulla difesa basata su: Morgan è un musicista, parliamo della sua musica, piuttosto, rimando al mio saggio intitolato La civiltà della vergogna, la civiltà della colpa, la civiltà berlusconiana.

Il modo giusto

Abbiamo dato un'occhiata agli errori più comuni in cui si può incappare cercando di riabilitare l'oggetto della propria stima parossistica [sì]. Vediamo ora quale può essere un approccio più corretto.
  • Lo hanno obbligato a farlo: sembra una scusa banale ma non lo è. Soprattutto, può essere arricchita di particolari che vanno dal pietismo ("Davvero, non voleva, poverino, mi fa una pena! Pensa che è pure astemio.") al complottismo ("Guarda, non si sa bene chi l'ha costretto, ma di sicuro è gente molto in alto, gente coi soldi. Ma scusa, uno che fa il cantante secondo te come se la potrebbe permettere la cocaina?").
  • Già si starà disintossicando: semplice. Bypassando il problema si punta tutto su una probabile - ma niente affatto certa - soluzione (vd. anche Leggi sull'immigrazione clandestina).
  • Ritirata: consiste nel ritrattare ogni affermazione di stima nei confronti del proprio idolo. Precedenti illustri: San Pietro, Gianfranco Fini.
  • La sua religione glielo impone: variante metafisica del primo punto. Impossibile controbattere senza abbattere tutte le divinità.

lunedì 1 febbraio 2010

Ultimo giorno dell'ultima licenza


Essere a Cornish, nello studio di J.D. Salinger, fa un po' lo stesso effetto di toccarsi nella sagrestia di una chiesa.
Siamo qui su invito di Phyllis Westberg, l'agente, Marcia B. Paul, l'avvocato, e Matt, il figlio. Io, in realtà, ci sono per sbaglio. Tornavo a casa dopo essere stata alla presentazione dell'iPad quando il mio aereo è stato fatto atterrare nel New Hampshire causa allarme-bomba [ma era solo un calabrese che non riusciva ad abbottonarsi i pantaloni]. Chiedendo informazioni per l'Holiday Inn più vicino sono finita in quello in cui alloggiavano gli emissari del maggiore gruppo editoriale italiano, che quando hanno visto che me la cavavo bene con l'inglese mi hanno chiesto di accompagnarli. "Ma tanto a gesti ci saremmo fatti capire lo stesso", hanno sottolineato.
Lo studio dello scrittore, dicevo, mette in soggezione. Le pesanti tende di velluto nero alle finestre, i numerosi papiri in sanscrito accatastati ovunque, una serie di barattoli di vetro che sembrano contenere urina, un orologio rotto, un teschio: tutto questo, sommato al forte odore di incenso e brillantina, rende l'ambiente forse poco adatto alla riunione. "Del resto", ci spiega il figlio, "tutte le altra stanze le abbiamo affittate a studenti della Dartmouth".
Tutto sommato non si sta stretti. I convenuti sono giusto una decina: c'è l'editor di Little, Brown & Co., un paio di persone da Hachette, due per HarperCollins, i due tizi del maggior gruppo editoriale italiano insieme a me, un signore tutto vestito di nero per Bertelsmann, e per Random House, Knopf e Pantheon un'altra persona.
"Dunque", esordisce l'agente, "siamo qui riuniti, oggi, per parlare degli inediti di J.D. Salinger. Cominciamo col dire che Salinger, Dio lo abbia in gloria, non ha più messo mano al testamento dalla metà degli anni Cinquanta, il che vuol dire che la persona che, stando al suo volere, dovrebbe curare la pubblicazione di questi inediti è Ernest Hemingway. Tutti quelli che, secondo le sue indicazioni, avrebbero potuto farlo al posto di Hemingway sono morti. Perché Salinger non abbia stilato un nuovo testamento dopo il '61 non ci è dato saperlo", e guarda di sottecchi l'avvocato, "fatto sta che, in accordo coi famigliari, si è deciso di mettere tutto in mano al miglior offerente. Questa però non è un'asta. L'asta dovrebbe tenersi tra qualche mese a New York, al Madison Square Garden. Oggi avrete solo un'anteprima, un assaggio di questi manoscritti."
Si ferma. Osserva l'uditorio. Inforca gli occhiali. L'unico rumore nella stanza è la musica dei Panic at the disco che viene da una delle camere affitate agli studenti.
"Allora", riprende, "cominciamo col dire che gli inediti veri e propri sono diciassette. Dico veri e propri perché sembra che negli ultimi trent'anni Salinger non abbia fatto altro che ricopiare pari pari, a mano, tutti i classici della letteratura. C'è il manoscritto di Guerra e Pace, quello della Recherche, quello del Decameron, quello del Don Chisciotte e molti altri. Comunque organizzeremo un'asta anche per questi. Non si sa mai", sorride.
"Gli inediti veri e propri, dicevo, sono diciassete. Di cosa si tratta? Romanzi, tre; il resto sono racconti, la maggior parte lunghi. Vi dico subito che non c'è il Grande Romanzo della famiglia Glass, come qualcuno forse s'aspettava, ma dieci dei quattordici racconti parlano di loro. Uno, intitolato The middle passage of the old ladies, ha per protagonisti i gemelli Walt e Waker. Waker torna in un altro racconto lungo in cui è la voce narrante e descrive la sua vita al convento e le sue avventure prima dell'ordinamento. C'è un racconto intitolato Zachary Martin go to America che parla delle prime esperienze di Zooey a Hollywood e ce n'è un altro sulle prime esperienze lesbo di Franny. C'è un racconto, Beatrice getting married, in cui Buddy racconta del divorzio di Boo Boo, causato dalla pubblicazione di un racconto dello stesso Buddy - un altro degli inediti, nella realtà - in cui parlava di una scappatella della sorella. Tre dei racconti sono tutti su Buddy: in uno lo vediamo mentre prepara una lezione da tenere al college femminile, in un altro mentre abborda una studentessa dopo la lezione, nel terzo mentre è casa con la studentessa per, insomma, ci siamo capiti. Il racconto lungo forse più interessante sulla saga Glass è quello che si chiama proprio Glass. Nel 1949 Buddy, Waker, Boo Boo, Franny e Zooey sono tutti riuniti sotto lo stesso tetto, nella casa di famiglia; chi per un motivo, chi per un altro. La madre Bessie sta cercando di divorziare da Les, che ha cacciato di casa, ma questi approffita della famiglia riunita per tornare dalla moglie con la scusa di avere una malattia terminale. Qui l'ironia salingeriana è al massimo", sorride.
"Per quanto riguarda i racconti non-Glass, invece, accenno solo a quello che vede protagonista Esmé, che avevamo lasciato bambina e ritroviamo adulta, mentre va all'ospedale ad abortire."
Si ferma per bere un bicchiere d'acqua.
"Ora veniamo ai romanzi. Quello per il quale sarete disposti a spendere di più è il sequel del Giovane Holden".
L'uditorio è percorso da un brivido.
"Ebbene sì", riprende l'agente, "c'è un seguito. Si intitola Tatcher and french fries. Holden è un anziano signore che vive nel New England, si è sposato più volte ma ora è solo, accudito dall'amorevole figlia. Il romanzo è concentrato tutto in una giornata, quella in cui Holden scopre che la figlia sta girando un documentario su di lui da presentare al Sundance. A proposito, è davvero spassosa la descrizione del festival - altro che phony, ne sentirete delle belle. Comunque, dicevo, la figlia vuole andare al Sundance con questo documentario sui vecchi che una volta erano persone fantastiche e invece da vecchie sono solo vecchi. La figlia è una psicologa famosa. E lui scopre i suoi piani e, be', non posso mica raccontarvi come finisce, no?"
Il tizio di Little, Brown & Co. ride nervoso.
"Gli altri due romanzi. Parliamo degli altri due romanzi. Allora, uno si chiama Here comes the sun, è lungo cinquecentosessanta pagine e più o meno è la storia del viaggio in India dei Beatles. L'io narrante è il guru Maharishi Mahesh Yogi. L'altro romanzo è molto particolare. Un uomo, uno scrittore, è in piena crisi creativa e deve preparare delle lezioni da tenere in una prestigiosa università, il che rappresenta un'occasione per riflettere su tutto il suo lavoro fatto finora. Mentre è in vacanza al mare, però, muore, ma un attimo prima di chiudere gli occhi per sempre si ricorda che in uno dei suoi libri il portagonista faceva la sua stessa fine: praticamente la sua morte lui l'aveva già scritta. Allora quest'attimo si dilata sempre di più e la vita dell'uomo e quella dei suoi personaggi si fondono e si mischiano e si perde totalmente il confine delle cose e, ecco, è un bel casino. E con questo casino chiudiamo il nostro incontro di oggi. Grazie di essere venuti. Speriamo di vedervi tutti al Madison Square Garden".
Prima di togliersi gli occhiali chiede: "Ci sono delle domande?"
Uno dei due emissari del maggiore gruppo editoriale italiano mi sussurra qualcosa all'orecchio e io traduco: "C'è una domanda per Matt Salinger. Ha mai pensato di scrivere qualcosa sulla sua esperienza come Capitan America?"