A Walter Scott - Sir Walter Scott - non piaceva dire che era uno scrittore. Oppure era un grande fan dell'anonimato.
Per dire, non solo si inventava come autore fittizio di Ivanhoe tale Lawrence Templeton, ma faceva scrivere a lui una lettera di dedica al reverendo dottore Dryasdust, antiquario residente a Castlegate, York - un altro tizio immaginario. Qualche romanzo dopo, The Fortunes of Nigel si apriva con una lettera-introduzione ancora a Dryasdust, scritta dal capitano Cuthbert Clutterbuck, che del romanzo in questione non si nominava autore ma "padrino", nel senso che in una libreria aveva incontrato "l'autore di Waverly" [cioè Scott, al massimo del suo protagonismo] che lo investiva di tale onore. I ruoli si invertivano in Peveril of the Peak, dove Dryasdust scriveva una "lettera in forma di prefazione" a Clutterbuck in cui si parlava di un altro incontro con "l'autore di Waverly" [definito dall'antiquario "nostro padre comune"].
In Quentin Durward, poi, andava in scena il delirio. Il romanzo, anonimo, era preceduto da una prefazione, sempre anonima, nella quale il prefatore raccontava di essere stato in Francia, da un suo amico - un marchese - che aveva insinuato che The Bride of Lammermoor [romanzo pubblicato con il nome di Jedediah Cleishbotham] fosse stato scritto da Walter Scott. L'anonimo autore della prefazione rispondeva piccato che non poteva essere affatto così, primo, perché Scott era uomo troppo distinto per essere il responsabile delle "leggere opere che il pubblico ha voluto attribuirgli", secondo, perché in realtà era lui, l'anonimo prefatore, che aveva scritto quel libro e le altre opere leggere [ma questo, per fortuna, al marchese non lo diceva - voleva mantenere il segreto].