lunedì 24 maggio 2010

Cotto e mangiato

Compro più libri di quelli che posso leggere. Nel senso che non aspetto mai di arrivare alla fine di un libro per prenderne un altro, col risultato che accumulo volumi che forse dopo, appena ho finito questo, oppure no, dopo quest'altro che ho sul comodino, ma prima veniva quello che mi è arrivato ieri, no, no, aspetta, leggo questo e poi, forse, se me lo ricordo, gli altri li leggerò.
Perché lo faccio? Non lo so. Probabilmente non sono l'unico. Credo che molto dipenda dalla scarsa confidenza che ho io e hanno gli italiani in generale con le biblioteche [che per parte loro sono diffuse poco e male sul territorio, o sono poco fornite, ho vi prestano un libro solo se gli fornite un paio di faldoni di documenti sul conto vostro e della vostra famiglia, insieme a uno scritto in cui dovete parlare di voi e del perché vi piace leggere] - e non ci vanno di mezzo solo le biblioteche: i libri preferisco non farmeli prestare da nessuno e non li presto volentieri a nessuno. Ogni volta mi dico: "E se poi mi viene in mente una cosa, una frase, un titolo, e non posso andare a controllare sulla pagina?". Ecco, questo mi sarà successo tre o quattro volte in ventidue anni di vita, ma è quanto basta. E non posso giustificarmi con qualche scompenso o robe del genere, robe del tipo "Quando sono depresso compro un libro" [pronunciato come fossi un personaggio di Sex and the City]. Io quando sono depresso, triste, o mi sento solo, abbandonato da tutti, o un fallimento totale - in tutti questi casi, mangio. Solo una volta ho comprato una cosa: caffè.

Tutto questo per dire che ho un sacco di libri che non ho tempo di leggere. 
Questa rubrica poteva chiamarsi anche così, I libri che non ho tempo di leggere, invece si chiama Cotto e mangiato, con una simpatica e ironica allusione al best-seller di Benedetta Parodi, perché è una rubrica simpatica e ironica. Adesso cominciamo - il gelato si sta sciogliendo.


Se niente importa, di Jonathan Safran Foer, era nell'ultimo pacco IBS che mi è arrivato. L'ho comprato su IBS perché si pagava dodici euro invece che diciotto. Se togliete i libri che ho ordinato per arrivare a cinquata euro e avere diritto allo sconto di cinque e alla spedizione gratuita, converrete con me che ho fatto un affare.
Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? è la patetica traduzione di Eating Animals. E' un saggio di trecentoquarantotto pagine che secondo i miei piani dovrebbe convincermi a diventare vegetariano. Non l'ho ancora letto perché non ho poi così tanta voglia di rinunciare per sempre alla carne? Forse. O forse è perché è un saggio di trecentoquarantotto pagine su allevamenti, bestiame, pascoli, galline, mattatoi e abitudini alimentari degli americani? Forse. 
Come se non bastasse, le citazioni sulla quarta di copertina* dicono: "Lei, lei che mangia carne, si vergongi! E' peggio di Hitler!". A questo punto ho paura che il libro per convicermi a diventare vegetariano prima voglia convincermi di essere un pericoloso criminale di guerra. E sapete cosa mi succede quando ho problemi di autostima.
Le pagine che illustrano i titoli dei capitoli sono bellissime. Mi concentrerò su quelle.

C'è ancora un po' di Jonathan Safran Foer nel secondo libro che non ho letto [e non sto dicendo che è un problema tuo, JSF]. Si tratta di Burned Children of America, una raccolta di racconti, nella prestigiosa edizione della collana i Quindici di Minimum Fax [prestigiosa perché la copertina è rigida e c'è la sopracoperta figa e costa quindici euro]. L'adocchiavo da un po', ma mi sono deciso a prenderlo solo da poco. Perchè? Sinceramente, non me lo ricordo più. Probabilmente perché i racconti sono di gente che stimo [Eggers, Saunders e Wallace] e di altra gente che vorrei conoscere per fare bella figura coi miei amici. 
Ora, se generalmente oppongo meno resistenza alle raccolte di racconti - che sono brevi e mi danno sempre l'illusione che tutto il volume sia più breve e scorrevole - con questa devo fare i conti con il rapporto di attrazione-repulsione che ho con Minimum Fax.
Voglio dire, è una casa editrice che apprezzo per vari motivi [al momento me ne vengono in mente tre: Giorgio Vasta, Richard Yates e Donald Barthelme] e che per altri detesto. Burned Children of America è pieno di questi "altri"; un libro che in ogni angolo di paratesto sottolinea quanto sia geniale e intraprendente la casa editrice. Santoddio! Già nel primo paragrafo [il primo!] dell'introduzione firmata Cassini-Testa si legge: "[...] scrivere, a otto anni di distanza dalla prima uscita, una nuova prefazione a questa antologia, per noi è difficilissimo: perché dobbiamo raccontare la storia di un nostro successo." E giusto due pagine dopo, in una nota [e quindi sottovoce, con modestia e umiltà] i due prefatori fanno notare come la loro antologia abbia rivoluzionato il mercato librario nazionale. Come se non bastasse, ho appena scoperto che Minimum Fax partecipa a questo. Direi che possiamo andare avanti.

Ora che avete tutti visto come si annienta ogni possibilità di farsi pubblicare o lavorare per una casa editrice, veniamo al prossimo libro che non sto leggendo.
E' La breve favolosa vita di Oscar Wao, un romanzo di cui non so nulla, tranne che: 1) ha vinto il Pulitzer nel 2008; 2) l'ha scritto Junot Dìaz; 3) Junot Dìaz era nella lista stilata dal New Yorker nel '99 dei 20 under 40, i migliori scrittori americani sotto in quarant'anni.
So anche che il New Yorker il sette giugno prossimo uscirà con una nuova lista di 20 under 40, della quale si discute da qualche tempo, perché nel '99 ci avevano visto giusto, e perché si tratta di una rivista di carta che promuove venti persone che scrivono libri di carta che sono tutti da vendere oggi, nel 2010, e soprattutto domani. So anche che nella nuova lista non ci saranno Sam Lipsyte e Dave Eggers, che sono troppo vecchi [e qualcosa mi dice che il secondo non ci sarebbe rientrato lo stesso]. Non so se ci sarà James Franco, l'attore che adesso vuole fare lo scrittore [con tanto di dottorato in letteratura inglese a Yale]. 
Non so se avete notato, ma potrei andare avanti per ore pur di non parlare di questo libro.

Tre libri: un saggio, una raccolta di racconti, un romanzo. Tutti e tre tradotti [pardòn] dall'inglese. Be', che ci crediate o no, un altro dei libri che ho ma non ho letto è in inglese. 
Mi sono abbonato a McSweeney's. E' una mossa che rientra perfettamente nella mia logica di "più libri, meno tempo". Ho fatto a cambio con l'abbonamento a Linus, che non ho rinnovato. Potrei dire che non ho rinnovato l'abbonamento a Linus in polemica con la decisione dell'editore di cacciare Matteo B. Bianchi, ma non è così. E' stato un puro caso. Ho deciso di non rinnovare qell'abbonamento perché ultimamente leggevo esclusivamente la rubrica di cinema e un paio di fumetti e se ne avevo voglia le recensioni di MBB. L'avrei fatto davvero se fosse stato solo per la sua cacciata? No, perché allora mi sarebbe piaciuto tutto il resto. Certo è che è un brutta faccenda.
Tornando a McSweeney's. Non credevo che avrebbe funzionato sul serio, la cosa dell'abbonamento, così, quando il postino mi ha consegnato un pacchetto con sopra la poltrona, il simbolo della casa editrice, ho detto: "Ma dài" e il postino mi ha guardato malissimo. 
Nel pacchetto c'era il numero trentaquattro della rivista: due libri tenuti insieme da una specie di foderina di plastica. Il primo libro è il solito [racconti, lettere e una serie di autoritratti di persone a caso - si va da Sarah Silverman a Mike Leigh - che non sarebbero altro che scarabocchi]. Il secondo libro è quello che mi interessa: un reportage sulla situazione attuale in Iraq che si intitola The End of Major Combat Operations, scritto da Nick McDonell in un modo che a prima vista sembra tanto NIE.
Questo McDonell ha tutto per starmi sul cazzo. E' nato nel 1984 da madre scrittrice e padre editore [di Rolling Stone, ai tempi di Hunter S. Thompson]. Ha pubblicato tre romanzi, il primo dei quali [che sta per diventare un film] all'età di diciassette anni [da un editore che - ops! -  è anche il suo padrino]. Eppure non è per questo che non lo leggo. Non lo leggo perché non è in italiano, e è più faticoso da leggere, e, be', adesso non mi va proprio di prendere il dizionario e vedere come si traducono i termini del gergo militare, davvero, non ho tempo. 
Ci vediamo all'inferno, Nick McDonell!

Due libri che ho letto perché sono corti

Uno è Il molosso. La leggenda del cane di Enzo Fileno Carabba, edito da Zona per i tipi Novevolt [96 pagine]. Mi è capitato di dire che è un libro che non racconta una storia ma racconta la storia [senza maiuscole, cambiando solo l'articolo]. Non so se sia giusto. So che ha il pregio della consistenza. E' un libro che se ne sta lì, dritto in piedi, come fa spesso il cane del titolo, aspettando di trovarsi di fronte un degno avversaio.
L'altro è Il Principe di Persia di Angelo Calvisi, edito da RoundRobin [108 pagine]. Da questo romanzo è stato tratto il film della Disney Prince of Persia: le sabbie del tempo, al cinema. No, sul serio. Il libro gioca - mi verrebbe da dire: letteralmente - col famoso videogioco, e il risultato è ottimo. Nel senso che è un libro veramente divertente. Ora, provate voi a scrivere centootto pagine tutte divertenti. Fatto? No? No, perché in genere è impossibile. Lasciate perdere e leggete il libro. 

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*A proposito. I blurb, i commenti sulla quarta di copertina e tutta questa robaccia, sono una risorsa perfetta per fare dei commenti su un libro che in realtà non si è letto. Questo [come parlare di libri mai letti senza fare figure di merda] sarà il tema di un'altra rubrica che si intitolerà Time to pretend. Lo dico adesso così se vi viene la stessa idea sapete che ce la state rubando.

2 commenti:

Angelo Calvisi ha detto...

grazie della segnalazione e dell'apprezzamento.

gb ha detto...

prego :)