venerdì 16 luglio 2010

Dov'è il tuo bambino adesso?

Un estratto da un post esageratamente lungo apparso già qui.



In Up, l’individuo che lotta per trovare il suo posto nella Comunità è definitivamente [e sorpendentemente, dato che -- forse occorre ricordarlo -- parliamo di film "per bambini"] sostituito da un individuo che lotta contro una pulsione di Morte. Cosa pensava di fare Carl, una volta arrivato sul cucuzzolo delle Cascate Paradiso, se non lasciarsi morire circondato dai ricordi di un passato felice trascorso con una donna che non c’è più? Dopo WALL-E, ma soprattutto dopo Nemo [padre e figlio], è un rapporto a due la chiave per la salvezza. All’opposto, la vecchia gloria Muntz soccombe [o intuiamo che così avvenga] inseguendo i fantasmi del suo passato. 
Ma se il primo Toy Story aveva così chiaramente tracciato le linee guida di molta della successiva produzione Disney-Pixar, è l’ultimo Toy Story che, quasi didascalicamente, illustra e mette in gioco tutti gli ingredienti di questo “nuovo corso” di lungometraggi.
Andy, il proprietario dei giocattoli, sta per partire per il college e deve decidere se buttare quello che è rimasto [una Comunità ridotta all'osso] dei giochi, se regalarlo a un asilo o se stiparlo in soffitta. Sceglie Woody da portare con sé e destina gli altri alla soffitta, ma per una serie di accidenti i giocattoli finiscono sul marciapiede accanto alla spazzatura e, credendo di essere stati definitivamente abbandonati, si auto-destinano all’asilo. Asilo che si rivela un luogo da incubo, dove i giocattoli sono governati da un orsetto dispotico che odora di fragola, Lotso. Woody, animato da religiosa fiducia nella bontà di Andy, lascia i suoi compagni al loro destino e fa per tornare a casa, ma viene trovato da una bambina che lo porta con sé. Buzz e gli altri si rendono conto del pasticcio in cui si sono cacciati e che è troppo tardi per uscirne — come non bastasse, Buzz viene resettato e si unisce alla gang di Lotso. Anche Woody viene a conoscenza della pessima situazione in cui ha abbandonato i suoi amici e torna all’asilo per liberarli. Seguendo un elaborato piano, i giocattoli — Buzz incluso — riescono a fuggire, ma finiscono in una discarica insieme a Lotso. Quest’ultimo sembra voler aiutare gli altri, ma non fa che ingannarli, condannandoli a morte certa nell’inceneritore. Quando tutto appare volgere al peggio, i giocattoli si salvano e tornano sulla strada di casa: Woody pronto a partire per il college con Andy, gli altri avendo accettato di essere riposti in soffitta. Prima della fine, però, Woody interagisce direttamente con il suo proprietario, scrivendogli di essere donato insieme agli altri giochi alla bambina che lo aveva ripescato mentre tentava di fuggire dall’asilo. Andy segue il suo consiglio.
E’ piuttosto chiaro, dall’inizio del film, che i giocattoli, semplicemente, stanno per
finire e cercano in un modo o nell’altro di rendere accettabile la loro Morte. Woody, che si sforza più degli altri [perché più degli altri vive nel ricordo], parla della soffitta come fosse una specie di Limbo dei giocattoli, un luogo in cui aspettare pazientamente che gli ipotetici figli di Andy tornino a farli rivivere. Gli altri giochi, invece, vedono nell’asilo la promessa di una nuova vita — una vita eterna, perché quando i bambini crescono ne vengono di nuovi. Quando scoprono di essere finiti all’Inferno [perché i bambini sono troppo piccoli per saper giocare con loro e perché Lotso ha creato un clima di terrore nella Comunità] daranno ragione a Woody, ma sarà troppo tardi.
La scena cardine del film è quella all’inceneritore della discarica. Quando Lotso decide di lasciar bruciare i giocattoli dice a Woody: “Dov’è il tuo bambino adesso, sceriffo?”. Sarebbe ridicolo sostituire “Dio” a “bambino”, se non fosse che, come si è accennato, la devozione di Woody per Andy è di tipo religioso e Lotso per tutto il film non faccia che esprimere il suo nichilismo [a un certo punto dice qualcosa come "Siamo pezzi di plastica: siamo fatti per essere buttati!"] e, ah, non sono l’unico ad averlo notato.
Il resto della sequenza è incredibilmente drammatico. Niente lascia presagire che i personaggi si salveranno, e nessun elemento della messa in scena [dove altrove la musica o un gesto o una battuta ironica avrebbero alleviato la tensione] evita di suggerire una morte imminente. Come se non bastasse, i giocattoli smettono di lottare per la sopravvivenza e si prendono tutti per mano: è un’allusione alla fiaba di Andersen [modello di tutti i
Toy Story] conosciuta come Il soldatino di stagno, in cui, nel fuoco, il soldatino e la sua amata ballerina di carta con un lustrino dorato si fondo in un cuore di stagno con un lustrino affumicato. [Mi sono trattenuto, finora, ma questo -- la sequenza dell'inceneritore, l'allusione al modello -- questo è genio].
L’allusione non si trasforma in citazione letterale e ad assicurare il lieto fine interviene un deus ex machina questo sì quasi letterale. I protagonisti di
Toy Story 3 hanno sfiorato la Morte, non resta loro che sbarazzarsi della Nostalgia. Gli ultimi minuti sono interamente dedicati all’addio di Andy [ora come non mai portavoce del pubblico] ai suoi giocattoli.
Se la massima preoccupazione di Woody, nel 1995, era tornare a essere il giocattolo numero uno, quindici anni dopo sceriffo e compagni sono costretti ad affrontare problemi ben più grandi di loro. Chi temeva di essere messo da parte, oggi teme di
non essere.
Come alla Pixar riescano ad alzare così vertiginosamente l’asticella continuando a produrre [all'interno di una multinazionale dell'intrattenimento quale è la Disney] film godibilissimi che realizzano incassi record ai botteghini di mezzo mondo, a questo punto forse è ancora più difficile da capire.
Cos’hanno, questi film?

2 commenti:

Heike ha detto...

Sono belli.

Matteo Scandolin ha detto...

Sono fatti con intelligenza e cuore, con una perizia tecnica da far spavento e quindi sì, sono belli.
MS