martedì 27 aprile 2010

Delitto per delitto


A Walter Scott - Sir Walter Scott - non piaceva dire che era uno scrittore. Oppure era un grande fan dell'anonimato.
Per dire, non solo si inventava come autore fittizio di Ivanhoe tale Lawrence Templeton, ma faceva scrivere a lui una lettera di dedica al reverendo dottore Dryasdust, antiquario residente a Castlegate, York - un altro tizio immaginario. Qualche romanzo dopo, The Fortunes of Nigel si apriva con una lettera-introduzione ancora a Dryasdust, scritta dal capitano Cuthbert Clutterbuck, che del romanzo in questione non si nominava autore ma "padrino", nel senso che in una libreria aveva incontrato "l'autore di Waverly" [cioè Scott, al massimo del suo protagonismo] che lo investiva di tale onore. I ruoli si invertivano in Peveril of the Peak, dove Dryasdust scriveva una "lettera in forma di prefazione" a Clutterbuck in cui si parlava di un altro incontro con "l'autore di Waverly" [definito dall'antiquario "nostro padre comune"]. 
In Quentin Durward, poi, andava in scena il delirio. Il romanzo, anonimo, era preceduto da una prefazione, sempre anonima, nella quale il prefatore raccontava di essere stato in Francia, da un suo amico - un marchese - che aveva insinuato che The Bride of Lammermoor [romanzo pubblicato con il nome di Jedediah Cleishbotham] fosse stato scritto da Walter Scott. L'anonimo autore della prefazione rispondeva piccato che non poteva essere affatto così, primo, perché Scott era uomo troppo distinto per essere il responsabile delle "leggere opere che il pubblico ha voluto attribuirgli", secondo, perché in realtà era lui, l'anonimo prefatore, che aveva scritto quel libro e le altre opere leggere [ma questo, per fortuna, al marchese non lo diceva - voleva mantenere il segreto]. 


Ma adesso torniamo al capitano che incontra dal libraio "l'autore di Waverly". I due si raccontano un sacco di cose, finché il capitano non chiede:
Non teme che si possa attribuire questa rapida successione di opere a un sordido motivo? Si penserà che lei lavori solo per l'attrattiva del guadagno.
E l'Autore risponde:
Supponiamo pure che, tra gli altri motivi che mi possono spingere ad apparire più frequentemente davanti al pubblico, io calcoli anche i grandi vantaggi che sono il prezzo dei successi letterari; questo emolumento è la tassa volontaria che il pubblico paga per un certo genere di divertimento letterario; non viene estorta a nessuno, e viene pagata, credo, solo da quelli che se la possono permettere, e che ricevono un godimento proporzionato al prezzo che pagano. Se il capitale che è stato messo in circolazione da queste opere è considerevole, esso è stato forse utile a me solo? Non potrei forse dire a cento persone come il bravo Duncan, fabbricante di carta, lo diceva ai diavoli più ribelli della tipografia: Non avete forse anche voi partecipato al guadagno? non avete avuto i vostri quindici soldi? Penso, confesso che la nostra Atene moderna mi debba molto per aver stabilito una fabbrica così vasta; e, quando si sarà accordato a tutti i cittadini il diritto di votare alle elezioni, conto sulla protezione di tutti gli operai subalterni che la letteratura fa vivere, per ottenere un posto in parlamento.

Ecco, tutto questo, per qualche strano motivo, mi ha fatto pensare alla querelle Saviano-Berlusconi (padre e soprattutto figlia).
Voglio dire, Saviano poteva diventare Saviano senza passare per la Gigantesca Mietitrebbia Cultural-Promozionale di proprietà dell'Imperatore del Male? Bisogna, in Italia, per forza stare "dentro" per poter essere [con qualche efficacia, almeno] "contro"? Perché se così fosse - e probabilmente lo è davvero - allora sarebbe, tutto, incredibilmente triste.

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