lunedì 29 marzo 2010

Fitzgerald si rivolta nella tomba

C'erano così tante cose che un tempo avevo desiderato! Il problema è che quando uno è giovane non ne sa mai abbastanza: ti dicono bugie in continuazione, in cento modi diversi, e così ti incasinano le idee su come è fatto il mondo; quando immagini la vita che vorresti, immagini cose che non esistono. Se fossi potuto tornare indietro a spiegare al me stesso di tanti anni prima quali erano le alternative vere, quali sarebbero state le vere conseguenze di certe decisioni, quel ragazzo avrebbe saputo cosa scegliere. Ma all'epoca non lo sapevo; e adesso, che lo sapevo, la mia mente era troppo zeppa di inutili informazioni di contorno, e  legata a interessi particolaristici, e io ero confuso.



Pagina duecentocinquantasei (256), la terz'ultima del primo romanzo di Keith Gessen, che si chiama Tutti gli intellettuali giovani e tristi, l'ha tradotto Martina Testa, l'ha pubblicato Minimum fax Einaudi, costa venti euro (20 €) e mi è servito per capire questo (parole di Genette, in Soglie - sempre Einaudi, 28 €):

Se il titolo è il prosseneta del libro e non di se stesso, bisogna temere ed evitare che la sua seduzione giochi troppo in suo favore e a scapito del testo. John Barth, le cui civetterie di presentazione non riescono a dissimulare un grande buon senso, dichiara saggiamente che un libro più seducente del suo titolo vale più di un titolo più seducente del suo libro; le cose (in generale, e queste in particolare) finiscono sempre per essere sapute. Il prosseneta non deve mettere in ombra il suo protetto, e conosco due o tre libri (che non citerò) i cui titoli troppo ingegnosi mi hanno sempre risparmiato una lettura probabilmente deludente. A Mme Verdurin, che gli domandava se non avesse potuto scovargli, come portiere, qualche barone squattrinato, Charlus rispose che un portiere troppo distinto avrebbe rischiato di dissuadere gli invitati dall'oltrepassare la portineria, e sappiamo perché lui stesso preferiva fermarsi alla boutique di Jupien.

Dunque [sorvolando sull'aneddoto della Recherche che ho lasciato perché da giovane - l'ultimo anno del liceo - ho letto Proust per fare l'intellettuale e per poterlo dire - che è triste], ora siete liberi di cancellare dalla parentesi "che non citerò" e scriverci "il romanzo di esordio di Keith Gessen". Mentre io sono libero di chiedermi perché - come ho smesso di andare a votare quando ho capito che, per come siamo messi, non mi posso aspettare nulla di buono da nessuno - non ho imparato a chiudere un libro che non mi piace prima di essere arrivato alla fine. Che sì, può essere che si scopre che il protagonista in realtà è un mostro, o che tutto era un incubo, o che arriva un tizio che si impegna in un monologo di due pagine da lacrime agli occhi, o che qualcosa di assolutamente fantastico succeda solo nell'ultimo paragrafo. Ma sarebbe comunque tardi. E, comunque, non è il caso di Tutti gli intellettuali giovani e tristi, di Keith Gessen, venti euro.

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